Ancora un suicidio a Catanzaro, Wanda Ferro:ci si confronti con le sofferenze delle famiglie

Di seguito un intervento di Wanda Ferro

L’ultimo suicidio accaduto nella nostra città (il terzo in poche settimane) impone, di là dalle singole circostanze, una riflessione di carattere generale.

La nostra società è oramai diventata un luogo dove ciascuna ha difficoltà a trovare la giusta collocazione, dove i singoli soggetti sono a disagio, si sentono abbandonati a se stessi in una obbligata solitudine. 

In una società dove prevalgono interessi e comportamenti individuali, gli interessi collettivi e quelli delle persone disagiate vengono troppo spesso trascurati, o meglio dimenticati o meglio ancora divengono invisibili là dove è più comodo per tutti fingere di non vedere.

Le istituzioni e la classe dirigente vivono una dinamica tutta loro, spesso avulsa dal contesto sociale, con un costante ed inesorabile rimpallo di responsabilità, generando una sorta di inefficacia collettiva nella quale le minoranze, che oggi sono diventate una vera e propria maggioranza, rappresentano un insieme variegato di soggetti dei quali pochi tendono ad occuparsi.  

Assistiamo ad una rassegnazione collettiva, alla sospensione - o meglio - alla rinuncia di ogni aspettativa: un terreno pericolosamente franoso dove si incubano crescenti disagi e disuguaglianze.  

In questo contesto la politica dovrebbe rappresentare una guida, assumere una funzione cardine nella società capace di orientare senza imposizione di comando riprendendo la  funzione di promotore dell'interesse collettivo: l’alternativa è che prevalga la passiva accettazione dell’esistente che talvolta, anzi troppo spesso, conduce a gesti disperati chi si sente abbandonato alla propria solitudine.

Una solitudine spesso forzata o imposta dalle circostanze della vita che riflette angosce e degenera in fenomeni sociali non più governabili.

Ad un bambino che chiedeva cosa fosse la pace, Papa Francesco spiegò che la pace è  lavorare perché tutti abbiano la soluzione ai problemi, ai bisogni che hanno nella loro terra, nella loro patria, nella loro famiglia, nella loro società e che «dove non c'è la giustizia, non c'è la pace».

Credo che nessuno possa dare lezioni sulla sofferenza:  tutti noi, però, dalle istituzioni alla politica alla classe dirigente, scendiamo dal piedistallo e confrontiamoci con le lacrime delle famiglie, sporchiamoci le mani e coltiviamo  il dubbio.

 

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