L’omicidio del giudice Scopelliti raccontato al Salone del libro di Torino

Coro unanime di Pecora, Scopelliti, Caselli e don Ciotti: "Si riapra il processo"

Da sinistra: Luigi Ciotti, Rosanna Scopelliti, Giancarlo...
Da sinistra: Luigi Ciotti, Rosanna Scopelliti, Giancarlo Caselli, Aldo Pecora

«E’ colpa nostra, anche dei magistrati. Non abbiamo ricordato il collega Antonino Scopelliti in questi anni». Queste le parole - si legge in una nota stampa - del Procuratore Capo della Repubblica di Torino Gian Carlo Caselli durante la presentazione, al prestigioso Salone del libro di Torino, del libro-inchiesta “Primo Sangue” (RIZZOLI BUR), opera prima del fondatore del Movimento Ammazzateci tutti Aldo Pecora, sull’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, ucciso a Campo Calabro (RC) il 9 Agosto del 1991 mentre si apprestava a sostenere la pubblica accusa nel maxi-processo a Cosa Nostra accusata delle uccisioni dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

 

«Il lavoro di Aldo Pecora restituisce dignità e memoria alla straordinaria figura di Scopelliti, risulta scrupoloso nell’inchiesta e importante nella memoria», dice con convinzione il Procuratore di Torino. Caselli definisce anche “incredibile” l’attuale Sindaco della città di Campo Calabro (città natale di Scopelliti) Domenico Idone, intervistato in un capitolo del libro: «Idone parla con parole della stessa gravità di quelle dette a suo tempo dal Procuratore Generale di Palermo, che diceva a Chinnici, quando questi affidò i processi di mafia a Giovanni Falcone, che questi avrebbe “distrutto l’economia di Palermo”». Appassionato l’intervento dell’autore del libro Aldo Pecora, applauditissimo dalla foltissima platea che occupa anche i padiglioni vicini a quello dove si è svolta la presentazione:  «L’inchiesta contenuta in “Primo Sangue” – dice Aldo Pecora - serve per avere verità. Nel libro emergono ipotesi di reato gravissime. Gravi ritardi e gravi colpe nelle indagini successive all’omicidio, confermate nel volume anche dal Procuratore aggiunto presso la Direzione Distrettuale di Reggio Calabria Nicola Gratteri (presente in sala insieme al coautore dei suoi libri Antonio Nicaso, n.d.r.) e da Salvatore Boemi, già Procuratore Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Dalle carte e dalle dichiarazione di ben diciassette pentiti emerge che Cosa Nostra ha voluto la morte di Scopelliti e ha chiesto alla ‘ndrangheta di compiere il delitto». La richiesta fatta da più voci è appunto questa: riaprire il processo Scopelliti, perché si deve ancora fare Giustizia per onorare la vittima e per il rispetto che si deve a coloro che lo hanno amato. Non è voluto mancare all’importante appuntamento anche il Presidente di Libera don Luigi Ciotti che ringrazia l’autore del libro perché:  «la vicenda raccontata è utile per la ricerca della verità, perché noi la pretendiamo la verità. Da oggi, grazie a Primo sangue, possiamo dire che Scopelliti non è morto ma è vivo». E’ indignato, il Presidente di Libera quando afferma che «editori e giornali che non si interessano della vicenda Scopelliti, definendola un “fatto vecchio” e preferendo dare spazio solo all’attualità, fanno solo il gioco delle mafie. Si interessino invece di storie come questa, poichè riescono con la loro forza a svegliare le coscienze della gente».

 

E’ un fiume in piena don Ciotti: «Dirò una cosa grave, con grande sofferenza: le mafie non moriranno mai nel nostro paese se non cambia un certo modo di essere della politica e se non siamo noi a cambiare». Un accenno anche sull’uso delle intercettazioni: «Con la nuova proposta di legge oggi Caselli non sarebbe qui a parlare perché è proprio grazie ad una intercettazione che si è scoperto un attentato pianificato contro di lui» e sul processo breve «è una vergogna, tutela solo i furbi». Momento toccante è l’intervento di Rosanna Scopelliti, figlia del magistrato calabrese. La giovane ricorda come possa essere difficile vivere la sua vita senza la figura paterna, il «non poter essere sgridata per una gonna troppo corta, o il non poter essere un giorno accompagnata all’altare da mio padre». In “Primo Sangue” è straordinaria la memoria di questa figlia che per la prima volta mette per iscritto i suoi ricordi e li incastra con il lavoro di inchiesta svolto da Aldo Pecora, ed è ancora più significativo che lei stessa insista nel non voler considerare suo padre una sorta di eroe, ma solo un servitore dello Stato che ha fatto fino in fondo il proprio dovere, un giudice che aveva in così alta considerazione il proprio ufficio da permettergli di rifiutare con sdegno un tentativo di “ammorbidimento” a suon di miliardi di vecchie lire ed a considerare la sua stessa vita come meno importante che il mantenere alta la dignità ed il suo onore di magistrato.

 

Nel libro-inchiesta - si legge infine nella nota - di Aldo Pecora emerge dunque sia la figura umana che la storia interiore di un magistrato non “mediatico”, innamorato del proprio lavoro, uno che amava dire “la toga ce l’ho cucita addosso”.  

 

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