Introduzione. Il livello d’istruzione sta avendo sempre di più importanza come variabile cruciale, oltre a quelle alle tradizionali di età e genere, per spiegare le variazioni dei fenomeni demografici. Infatti, molti studi hanno dimostrato che, per esempio, le donne con un elevato livello d’istruzione hanno meno figli. Così’ come, una maggiore istruzione è associata a una più bassa mortalità e a una salute migliore.

Un’evidenza di ciò per il nostro Paese si può cogliere dalle tavole di mortalità per livello d’istruzione, sesso e ripartizione, recentemente costruite dall’Istat con riferimento al periodo 2012-2014 [i]. Infatti le differenze nella vita media alla nascita, passando dal livello più alto a quello più basso d’istruzione, sono state di 2,5 anni per il sesso femminile e di 4 anni per quello maschile tra il Mezzogiorno e il Nord-ovest (Tabella 1).

Queste evidenze sono già consolidate nella più recente letteratura internazionale e, secondo alcuni autori, la variabile istruzione sarà al centro della demografia del 21.mo secolo[ii].

Ciò è dovuto ai significativi cambiamenti nel mondo di oggi ma soprattutto ai modi nuovi di interpretare tali cambiamenti. In questo contesto l’analisi dell’analfabetismo permetterebbe di cogliere alcune criticità correlate proprio alle trasformazioni in atto nella società.

Ricordiamo che nel nostro Paese la comunità degli statistici e demografi, a parte una breve parentesi negli anni cinquanta -sessanta del secolo scorso, hanno dato poca importanza allo studio dell’analfabetismo, ritenendolo un elemento residuale dello sviluppo sociale del Paese.

Invece, i pedagogisti e i linguisti, grazie al loro coinvolgimento diretto, hanno fatto emergere che in Italia l’analfabetismo, ma quello di ritorno e l’analfabetismo funzionale, sono in vario modo ampiamente diffusi e preoccupano perché causa di marginalizzazione sociale[iii].

A livello nazionale questi fenomeni sono ampiamente studiati grazie anche alle indagini internazionali che vedono coinvolto anche il nostro Paese, come l’International Adult Literacy Survey coordinato da Statistics Canada e quelle condotte dall’OCSE. Scendendo invece a livello regionale, i risultati immediatamente disponibili sono quelli censuari, che però hanno il limite di non far emergere esplicitamente queste nuove forme di mancanza di adeguata istruzione, perché sono censiti solo gli analfabeti, cioè coloro che al censimento hanno dichiarato di “non saper né leggere né scrivere” e “gli alfabeti ma privi del titolo di studio”. Nella breve analisi qui condotta queste due categorie sono state da noi raggruppate perché crediamo in questo modo di avvicinarci al concetto di analfabetismo funzionale[iv], fenomeno oggi largamente sottovalutato[v].

Analfabetismo e “analfabetismo funzionale”. Dall’Unità in poi i grandi progressi della scolarizzazione e di tutta la società italiana hanno determinato una notevole riduzione dell’analfabetismo complessivo e di quello fra i sessi.

La scuola ha partecipato su due piani all’edificazione dell’assetto statuale, sia combattendo l’analfabetismo sia facendo acquisire una serie di valori essenziali per la costruzione di un’identità nazionale come patria, bandiera, famiglia, autorità ecc.

Quest’opera della scuola è continuata nel periodo fascista, ovviamente con un forte condizionamento ideologico, e dopo la seconda guerra mondiale nel clima di ritrovata convivenza democratica, modificando, sotto la spinta dei cambiamenti sociali e tecnologici via via intervenuti, la sua funzione originaria da scuola dell’educazione e dell’istruzione in scuola della formazione[vi].

Questa evoluzione ha fatto sì che il livello di analfabetismo nel nostro Paese dal valore di 74,7% del 1861 si riducesse via via fino al valore di 1,06% del 2011.

Nonostante questi eccezionali progressi però la persistenza che si coglie dal censimento 2011 di 4.916.504 analfabeti funzionali (595.684 analfabeti e 4.320.820 analfabeti privi di titolo di studio) pari all’8,76 % della popolazione italiana di età superiore a 6 anni, costituisce un fattore di arretratezza non facilmente rimuovibile. Con una variabilità regionale notevole che vede le regioni meridionali, e la Calabria in particolare, ai primi posti in questa graduatoria di deficit culturale (Figura 1). La Calabria con il 15,2% di analfabetismo funzionale per il sesso femminile e il 10,9 % per quello maschile detiene il record italiano. In termini assoluti nel censimento del 2011 si osservano nella nostra regione 243.466 persone che pur avendo le capacità di leggere e scrivere sono prive di molte competenze nella vita quotidiana.


[i] Per un’analisi in una prospettiva globale del rapporto tra istruzione, mortalità e disabilità in età adulta si rinvia a: Samir KC, H. Lentzner, The effect of education on adult mortality and disability: a global perspective, Vienna Yearbook of Population Research 2010, (Vol. 8), pp. 201-236.

[ii] W. Lutz, Education will be at the heart of 21st century demography, Idem, pp. 9-16.

[iii] La terminologia in uso nella letteratura specializzata sull’argomento è molto varia, cfr. B. Schettini, Tanti analfabetismi anche oggi, Indire, 2005.

[iv] Ricordiamo che gli analfabeti funzionali sono coloro che sono capaci di leggere e scrivere, ma hanno difficoltà a comprendere testi semplici e sono privi di molte competenze utili nella vita quotidiana.

[v] Questa via è anche quella seguita nella ricerca di Pezzulli e Lombardo sui dati del censimento del 1991 per lo studio dell’analfabetismo giovanile nel nostro Paese. Cfr. S. Pezzulli, E. Lombardo, L’analfabetismo giovanile dell’ultimo censimento della popolazione. Un indicatore globale dell’efficienza scolastica?, CADMO, n. 9, 1995.

[vi] G. Trebisacce, Scuola e Mezzogiorno in 150 anni di storia unitaria, in F. Cambi e G. Trebisacce (a cura di), I 150 anni dell’Italia unita. Per un bilancio pedagogico, ETS, Pisa, 2012, pp. 219-231

 

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