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Gli italiani spenderanno oltre 120 milioni di euro nell’acquisto di uova di gallina

Sode per la colazione, dipinte a mano per abbellire le case e le tavole apparecchiate, ma soprattutto impiegate in ricette tradizionali o in prodotti artigianali e industriali saranno circa 400 milioni le uova “ruspanti” consumate durante la settimana Santa.

E’ quanto stima la Coldiretti nel sottolineare che gli Italiani spenderanno oltre 120 milioni di euro nell’acquisto di uova di gallina da consumare direttamente o nella preparazione di primi piatti e dolci, quasi la metà dei 250 milioni spesi dagli italiani per acquistare circa 16 milioni di uova di cioccolato.

Un trend che conferma l’andamento positivo del 2018 durante il quale le uova fresche, con un balzo record del 14%, sono quelle che hanno fatto registrare la maggiore crescita degli acquisti aggiudicandosi il titolo di star del carrello alimentare, secondo elaborazioni Coldiretti su dati Ismea. A spingere i consumi – sottolinea la Coldiretti – gli ultimi studi secondo i quali le uova sono riconosciute come un alimento sano, equilibrato e “taglia grassi” adatto al controllo del peso di individui. Un uovo medio contiene solo 78 kcal, ma il suo contenuto proteico elevato è pari a 6,5 grammi, ovvero il 13% del fabbisogno giornaliero di un adulto. Le uova si qualificano inoltre come fonte di Vitamina A e B12; sono inoltre ricche di Vitamina D e contengono Colina, Fosforo, Selenio, Riboflavina, Acido Folico, Biotina e Iodio mentre una vera e propria leggenda metropolitana del tutto priva di basi scientifiche è quella – denuncia la Coldiretti – che le uova facciano male al fegato.

Al contrario, questo tipo di alimento contiene sostanze utili per il buon funzionamento delle cellule epatiche, come gli aminoacidi epatoprotettori come metionina e colina e una sostanza come l’inositolo utile in particolare per chi soffre di fegato grasso. Con l’aumento della domanda diventa sempre più importante – continua la Coldiretti – garantire la trasparenza del Made in Italy del prodotto e per il 2019 le risoluzioni approvate dalla Commissione Agricoltura della Camera prevedono la timbratura di origine obbligatoria in allevamento. Una misura importante per consentire di fare scelte di acquisto consapevoli che – sostiene la Coldiretti – deve essere inserita anche all’esterno delle confezioni oltre che estesa agli ovoprodotti utilizzati nella trasformazione industriale.

Ad oggi viene applicato sul guscio un codice alfanumerico che contiene le informazioni sulla provenienza dell’uovo e metodi allevamento adottato, ma è difficilmente interpretabile dai consumatori. Il primo numero consente di risalire al tipo di allevamento (0 per biologico, 1 all’aperto, 2 a terra, 3 nelle gabbie), la seconda sigla indica lo Stato in cui è stato deposto (es. IT), seguono le indicazioni relative al codice Istat del Comune, alla sigla della Provincia e, infine il codice distintivo dell’allevatore. A queste informazioni si aggiungono – continua la Coldiretti – quelle relative alle differenti categorie (A e B a seconda che siano per il consumo umano o per quello industriale) per indicare il livello qualitativo e di freschezza e le diverse classificazioni in base al peso (XL, L, M, S). Negli ultimi 30 anni – precisa la Coldiretti – i consumi nazionali di uova sono aumentati raggiungendo la cifra record di 13 miliardi di pezzi all’anno che significa una media di circa 215 uova a testa, quasi interamente Made in Italy, grazie all’offerta di una platea di 40 milioni di galline  presenti in 14.400 allevamenti italiani secondo elaborazioni Coldiretti su dati Ismea. L’usanza di considerare l’uovo come simbolo di rinascita e buon augurio in Occidente risale al 1176, quando re Luigi VII rientrò a Parigi dopo la II crociata e per festeggiarlo – conclude la Coldiretti – il capo dell’Abbazia di St. Germain des Près gli donò metà dei prodotti delle sue terre, incluse un gran numero di uova che furono poi dipinte e distribuite al popolo. Una usanza tramandata dai persiani che, già cinquemila anni fa, festeggiavano l’arrivo della primavera con lo scambio delle uova “portabene” contro pestilenze e carestie secondo un rito che resiste ancora ai giorni nostri.