Da una parte ci sono tantissimi millennials carichi di skills specifiche e di talento, e dall’altra ci sono altrettante aziende che cercano senza successo di assicurarsi le loro competenze.

Non si contano le imprese che faticano nell’inserire in azienda i giovani talenti necessari. Un’affermazione strana per un Paese in cui la disoccupazione giovanile, nonostante l’uscita dalla crisi, resta a tassi molto alti, ma è proprio così.

Eppure nella maggior parte dei casi sono proprio i millennials ad avere le competenze necessarie per accompagnare le imprese nel processo di digital trasformation.

«Il problema di tante aziende e di tanti uffici HR risiede nel loro approccio nei confronti di questi giovani candidati» spiega Carola Adami, head hunter di Milano e fondatrice dell’agenzia di selezione del personale Adami & Associati (www.adamiassociati.com).

Nella maggior parte dei casi è infatti inutile offrire ai millennials lo stesso trattamento che si sarebbe riservato quindici anni fa ai loro coetanei: servono altre attrattive, altre offerte e altri benefit.

Da anni gli esponenti della generazione dei millennials sono stati accusati di essere pigri e di non avere alcuna etica lavorativa.

«La cattiva nomea dei millennials è perlopiù legata al particolare frangente storico durante il quale questa generazione si è presenta sul mercato del lavoro – sottolinea Adami – e non bisogna scordare che in Italia la metà dei giovani ha dei contratti precari, che non valorizzano le loro competenze: anche questo aspetto, ovviamente, determina una diversa visione della situazione lavorativa».

Ma cosa possono fare le aziende per attirare questi talenti?

«Le indagini degli ultimi anni dimostrano molto chiaramente che lo stipendio non è un fattore importante per i millennials come lo è stato per le generazione precedenti: i giovani sono per esempio assolutamente disposti ad accettare stipendi minori, a patto di poter godere di maggior tempo libero di qualità.

Ma non è tutto qui, perché per attirare i millennials è fondamentale prospettare ottime possibilità di carriera, sottolineando la meritocrazia vigente in azienda e i tanti stimoli offerti dal nuovo ambiente lavorativo» aggiunge ancora Adami.

A confermare le parole dell’head hunter ci sono i numeri di parecchie indagini. Un recente studio condotto da ForceManager sui giovani dai 22 ai 37 anni ha per esempio dimostrato che per il 52% degli intervistati i benefit e le garanzie di lavoro agile sono più importanti dello stipendio.

Questi stessi giovani hanno infatti dichiarato di essere pronti a tagliare il proprio stipendio annuo di 3.000 euro per godere di programmi di smart working, per gestire al meglio la propria vita privata.

Per quanto riguarda gli stimoli, non deve stupire il fatto che ben il 35% dei ragazzi indichi le startup come il posto perfetto in cui lavorare: le aziende innovative offrirebbero infatti maggiori possibilità di crescita, nonché la possibilità di misurarsi con ruoli di volta in volta diversi.

Per attirare dei giovani talenti in azienda, dunque, diventa indispensabile offrire loro stimoli, tempo libero, flessibilità e possibilità di carriera.

Sarà quindi sempre più difficile assicurarsi i profili necessari, tra i millennials, basandosi unicamente su generosi stipendi.

 

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