Secondo il Rapporto Svimez, nel 2018, il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord si amplierà di nuovo. Il saggio di crescita del Pil dovrebbe attestarsi, infatti, all’1,3% nel Centro-Nord e allo 0,8% nel Mezzogiorno, in un quadro complessivo di rallentamento dell’economia meridionale.

Una stima interessante riguarda gli effetti che la manovra di bilancio del governo produrrà sull’economia meridionale. La Svimez stima che nel biennio 2019-2020 i maggiori effetti espansivi della manovra si avranno nel Sud, che beneficerebbe di circa il 40% delle minori entrate e di oltre il 40% delle maggiori spese previste dalla manovra.

In particolare, l’economia del Sud trarrebbe i maggiori benefici dal pensionamento anticipato (“quota 100”) e dal “reddito di cittadinanza”. Con riferimento a quest’ultima misura una nota di cautela è d’obbligo.

Nel Mezzogiorno, a fronte di circa 1,5 milioni di disoccupati ci sono 1,8 milioni di persone che, pur non lavorando, non cercano lavoro. Si tratta di un’ampia “zona grigia” che non risulta nelle statistiche sulla disoccupazione.

Poiché il reddito di cittadinanza presuppone che il percettore cerchi attivamente lavoro, è molto probabile che, per godere del sussidio, le persone che si trovano in questa zona grigia” emergeranno come nuovi disoccupati.

Nella misura in cui ciò dovesse accadere, un effetto non previsto del “reddito di cittadinanza” sarebbe quello di far aumentare il tasso ufficiale di disoccupazione del meridione.

Il Rapporto Svimez 2018, conferma come il dualismo tra Nord e Sud abbia assunto nuovi tratti, che non sono solo economici. La popolazione meridionale diminuisce e invecchia.

Nel Mezzogiorno – come nel resto del paese – sono diminuite le nascite ed è ripresa l’emigrazione. Negli ultimi sedici anni, 1 milione e 183 mila persone, di cui la metà giovani, quasi un quinto laureati hanno lasciato il Sud.

Quasi 800 mila non sono più rientrati. Agli emigrati vanno aggiunti i pendolari di lungo raggio, cioè che lavorano fuori dalla regione di residenza. Nel 2017, erano 150 mila i residenti meridionali che lavoravano nel Centro-Nord. È questo il sintomo più evidente dell’incapacità dell’economia meridionale di creare opportunità di lavoro adeguate ai giovani qualificati.

Il divario è anche tra generazioni. Il tasso di occupazione giovanile nel Sud diminuisce. Nel 2007 i lavoratori giovani (15-34 anni) rappresentavano il 30% degli occupati. Dieci anni dopo, la quota è scesa al 22% mentre quella degli ultracinquantenni è aumentata (dal 13% al 22%). Non è solo un effetto demografico.

A ciò hanno contribuito la riforma pensionistica (Legge Fornero), il blocco del turnover nel pubblico impiego, insieme con la scarsa capacità del mercato del lavoro meridionale di creare nuovi posti di lavoro.

Le riforme di questi anni hanno fatto crescere il precariato e le ineguaglianze tra generazioni, mentre il tasso di occupazione giovanile è diminuito. Ciò, come è evidente, si riflette sulle prospettive di crescita del paese.

Infine, un altro divario che investe tutti i cittadini, soprattutto le fasce più deboli. È quello nei servizi pubblici di base. La qualità dei servizi pubblici nel Mezzogiorno rimane nettamente al di sotto della media nazionale.

Come evidenzia la Svimez, nel comparto sanitario i livelli delle prestazioni sono nettamente inferiori agli standard minimi. Lo dimostrano la griglia dei Livelli essenziali di assistenza nelle regioni sottoposte a piani di rientro, tra cui la Calabria, e i dati sull’emigrazione sanitaria.

Questi divari nei servizi pubblici si riflettono sui diritti fondamentali di cittadinanza e sull’equità sociale e non si riscontrano in altri paesi europei avanzati. Sotto questi aspetti, l’Italia continua ad essere un paese duale.

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