Nella Sibaritide, l’area a più alta vocazione agrumicola della Calabria, dove si concentrano i maggiori quantitativi di Clementine d’Italia e che rappresenta una quota importante del PIL del settore agricolo Calabrese, gli operatori registrano un allarmante stato di crisi del settore.
Sicuramente hanno inciso le ripercussioni dei cambiamenti climatici, che hanno causato una percentuale di prodotto di piccole dimensioni non richiesto dal mercato e le forti limitazioni dei consumi causati dalla pandemia da Covid 19; Certamente fattori in parte non prevedibili, né tanto meno fronteggiabili con gli strumenti a disposizione degli agricoltori o dalle loro Organizzazioni di Prodotto.
Ma, secondo noi, a questo stato di cose, vanno aggiunti altri fattori che continuano a determinare lo stato di perenne crisi del settore agrumicolo nella nostra regione, questi si prevedibili e a cui da tanti, troppi anni, non si riesce a dare soluzione.
Ci riferiamo ai problemi strutturali del settore: riconducibili ad una maglia poderale frammentata a cui fa da contraltare una rete commerciale di piccoli o piccolissimi operatori, una risposta associativa che vede decine di OP in Calabria, molte volte in forte contrapposizione e concorrenza tra di loro, alla mercè della Grande Distribuzione Organizzata, che continua a dettare e a proprio vantaggio le regole commerciali.
La GDO continua a strozzare con prezzi mortificanti le aziende insieme a tutti gli speculatori del commercio agricolo, determinata anche dalla concorrenza dei mercati esteri che imprime un dumping sociale incontrollato, non mitigato da azioni di protezione e sostegno, a cui si aggiunge quest’anno anche l’annata agraria che, come accennato, conta un prodotto di calibro piccolo che abbassa ulteriormente la redditività, ma non la qualità.
Il costo di produzione delle clementine non viene coperto dai prezzi di vendita, consapevole la GDO di una maggiore qualità e salubrità della produzione Italiana mette in concorrenza sleale il prodotto a discapito degli agricoltori calabresi. D’altra parte la stessa GDO pretende anche standard di qualità elevati, controllando anche la gestione delle risorse umane impiegate nelle aziende. Allora come si concilia tutto questo se si rincorrono i prezzi di paesi che non rispettano nessuna delle condizioni sociali, economiche ed ambientali imposte agli agricoltori italiani?
Bisogna combattere il dumping sociale con politiche di carattere nazionale, fissare dei prezzi minimi di vendita attraverso la costituzione di un tavolo tecnico permanente presso il Ministero.
Promuovere il consumo di prodotto nazionale come fonte di economia circolare e maggiore salubrità dei prodotti, di cibo si vive e di cibo si muore.
Promuovere una maggiore e più efficiente aggregazione dell’offerta tra i produttori attraverso politiche incentivanti di sostegno alla produzione ed agli investimenti.
Attivare una riforma varietale della produzione al fine di allargare l’offerta ed avere meno prodotto concentrato sul mercato.
Costituire un tavolo istituzionale presso la Regione Calabria con il coinvolgimento del Ministero dell’Agricoltura per discutere e prospettare azioni concrete e immediate da adottare.
Bisogna realizzare il New Deal dell’agricoltura altrimenti consegneremo aziende morte ai nostri figli. Non solo le clementine ma tutti i prodotti agricoli, bisogna attuare una rivoluzione, pacifica ma reale, non ci sono più i tempi dell’attesa, pensiero e azione, non proteste sterili ma proposte sostenibili per tutti gli attori; produttori, trasformatori, GDO, consumatori.