In controtendenza all’andamento generale, il valore aggiunto cala solo in agricoltura per effetto del boom dei costi di produzione, dai carburanti ai fertilizzanti, dalle macchine agli imballaggi fino ai mangimi per alimentare il bestiame.
E’ quanto afferma la Coldiretti in riferimento all’andamento del Pil nel terzo trimestre del 2021. Il balzo dei costi energetici oltre a spingere l’inflazione – sottolinea la Coldiretti – si trasferisce a valanga sui costi di produzione e sui bilanci delle imprese.
Con l’avvio delle operazioni colturali gli agricoltori – spiega la Coldiretti – sono costretti ad affrontare rincari dei prezzi fino al 50% per il gasolio necessario per le attività che comprendono l’estirpatura, la rullatura, la semina e la concimazione. L’aumento dei costi energetici riguarda anche il riscaldamento delle serre per fiori e ortaggi ma ad aumentare sono pure i costi per l’acquisto dei fertilizzanti, per l’essiccazione dei foraggi, delle macchine agricole e dei pezzi di ricambio per i quali si stanno verificando addirittura preoccupanti ritardi nelle consegne.
Il rincaro dell’energia – continua la Coldiretti – si abbatte poi sui costi di produzione come quello per gli imballaggi, dalla plastica per i vasetti dei fiori all’acciaio per i barattoli, dal vetro per i vasetti fino al legno per i pallet da trasporti e alla carta per le etichette dei prodotti che incidono su diverse filiere, dalle confezioni di latte, alle bottiglie per olio, succhi e passate, alle retine per gli agrumi ai barattoli smaltati per i legumi.
Le imprese di allevamento da latte –denuncia Coldiretti – subiscono penalizzazioni con compensi da troppo tempo al di sotto dei costi di produzione che sono esplosi per effetto dei rincari nei mangimi. Serve un “effetto filiera”- conclude la Coldiretti –cioè la responsabilità della intera filiera alimentare con accordi tra agricoltura, industria e distribuzione per garantire una più equa ripartizione del valore per salvare aziende agricole e stalle. Dilatare tale necessità finirebbero per pesare a lungo (e spiacevolmente) nell’agenda di politica economica.