Si è parlato di impresa, lavoro e Sud nell’iniziativa organizzata nell’ambito della seconda edizione di “Valentia in Festa”, la kermesse organizzata dall’Associazione Valentia, composta da giovani vibonesi e presieduta da Anthony Lo Bianco e tenutasi ieri proprio a Vibo Valentia, nello storico “Palazzo Gagliardi”. Il segretario generale della UST CISL Magna Graecia, Francesco Mingrone, è stato uno dei protagonisti del dibattito “Fare impresa: in Calabria è realmente fattibile?” insieme a Pino Masciari, imprenditore e testimone di giustizia. Ha moderato gli interventi Francesco Iannello della Gazzetta del Sud.
Un confronto a 360 gradi da cui sono emersi molti spunti di riflessione. Nevralgico al dibattito è stata, sicuramente, la testimonianza di Pino Masciari l’imprenditore edile calabrese sottoposto dal 18 ottobre 1997, assieme alla moglie e ai due figli, ad un programma speciale di protezione per aver denunciato la ’ndrangheta – la criminalità organizzata calabrese – e le sue collusioni politiche.
Il segretario generale della UST CISL Magna Graecia, Francesco Mingrone si è, dal canto suo, soffermato sui temi “cari” alla CISL, da sempre impegnata a difesa e tutela degli imprenditori calabresi e pertanto del lavoro. “Nonostante gli sforzi di tanti, la nostra terra fa ancora i conti con un indice di disoccupazione molto alto. Gli imprenditori che trovano il coraggio di investire al Sud ci sono. Ma, troppo spesso come si evince dalle cronache dei giornali, si ritrovano nella morsa delle estorsioni e delle intimidazioni. Esposti a rischi per sé e le famiglie. Vulnerabili. A volte poco difesi e tutelati. Le imprese della nostra terra vanno protette come un bene prezioso. Perché ossigeno, vita, speranza per un futuro di crescita. Per questo motivo serve un’alleanza tra le forze sane di questo territorio: scuola, università, chiesa, sindacato, politica, enti e istituzioni. Solamente creando una rete fitta e serie tra più attori sarà possibile creare lavoro vero, onesto e di qualità. Diversamente continueremo ad assistere alla fuga dei nostri giovani. Assisteremo inerti ad un esodo che ricorda, sempre di più quello di fine ‘800 e metà ‘900 quando chi partiva prestava le braccia alle industrie del nord Italia o del centro Europa. Oggi sono i cervelli ad andarsene. Un esodo diverso nella forma ma che racchiude in sé lo stesso dolore di allora”.