Non saranno le ormai proverbiali cinquanta sfumature di grigio ma, all’inizio del 2019, l’identikit dell’editoria italiana si presenta con più di una sfaccettatura.

Secondo un’elaborazione Unioncamere-InfoCamere sui dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio, tra il 2014 e nei primi tre mesi del 2019 le imprese italiane che operano nel settore dell’edizione di libri sono diminuite del 4,8%, passando da 4.179 a 3.980 unità.

A questa contrazione nel numero degli operatori ha fatto però eco una crescita del 5,3% nel numero degli addetti, passati nello stesso arco di tempo da 7.732 a 8.144 unità, corrispondenti a una media di 6 addetti per impresa.

La concentrazione più elevata case editrici si registra in Lombardia, dove al 31 marzo scorso avevano sede 993 imprese (il 25% del totale) e sempre la Lombardia si aggiudica la fetta più consistente della diminuzione assoluta del periodo (82 imprese in meno tra 2014 e marzo 2019, il 41% dell’intero saldo nazionale).

A seguire in entrambe le classifiche c’è il Lazio (con 670 imprese residenti alla fine di marzo e una flessione, però, di sole 9 aziende dal 2014). A seguire, Emilia-Romagna, Campania e Toscana si segnalano come le regioni dove più numerose sono le imprese dell’editoria italica.

Sul fronte degli addetti, le imprese che creano più opportunità di lavoro sono localizzate in tre regioni: Lombardia, Veneto, Lazio che, con i loro 4.824 addetti, rappresentano il 59% di tutto il settore. Nella classifica degli addetti medi per impresa spicca invece il Trentino – Alto Adige che, con 20 addetti, precede Veneto (13) e Lombardia (9).

Dall’osservazione della forma giuridica adottata dalle imprese, emerge il profilo di un settore a due facce. Se è vero che, delle 3.980 imprese, quasi una su due (il 48%) è costituita nella forma di società di capitale, i dati mostrano come oltre un quarto (il 28%) siano imprese individuali.

Quanto alla “governance”, la foto scattata a fine marzo scorso evidenzia un ruolo estremamente marginale dell’imprenditoria giovanile (che, con 119 imprese, rappresenta appena il 3% dell’intero settore), al pari della componente di imprese guidate da stranieri.

Appare invece in linea con la quota complessiva che occupa nel mondo delle imprese (21,6% del totale), la rappresentanza di imprese femminili.

Infine, dal punto di vista delle performance economico-finanziarie, analizzando i bilanci delle 809 imprese del comparto costituite nella forma di società – e che hanno presentato il bilancio in ognuno degli ultimi tre anni – il valore della produzione complessivo riferito all’anno 2017 è stato di oltre 1,6 miliardi di euro, in crescita del 10,6% rispetto a quello realizzato dalle stesse imprese nel 2015 (in media, circa 2 milioni di euro pro-capite).

Ancora più sensibile la crescita del valore aggiunto aggregato, arrivato nel 2017 a sfiorare i 400 milioni di euro dai 332 del 2015, pari ad una variazione cumulata del 18,9%.

Le conferme sulla buona salute finanziaria di queste imprese arrivano anche dagli indicatori finanziari: il ROI (ritorno sugli investimenti) è quasi raddoppiato nel periodo, mentre il ROE (ritorno sul capitale di rischio) è più che triplicato.

 

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