Vittorio Daniele

Vittorio Daniele è professore di Politica Economica all’Università Magna Graecia di Catanzaro. Con lui abbiamo cercato di capire qualcosa in più rispetto alla misure in discussione sulla prossima manovra finanziaria del Governo.

Prof. ci può dare un giudizio complessivo sulla manovra.

In linea generale, la manovra finanziaria, di cui però bisogna ancora conoscere le cifre precise, ha un’impostazione a mio giudizio condivisibile, cioè quella di stimolare la domanda aggregata per aumentare la crescita economica.

Si parte dall’idea che le politiche economiche attuate negli ultimi dieci anni non abbiano funzionato e che, dunque, vadano cambiate.

In effetti, come chiunque può constatare, nonostante le cosiddette riforme strutturali, dopo la crisi del 2008, nel nostro paese il rapporto tra debito e Pil è costantemente aumentato.

Si tratta di vedere se davvero, come sostiene il governo, le misure previste, finanziate in disavanzo, possano stimolare la crescita del Pil in misura tale da assicurare la sostenibilità dei conti pubblici.

Ciò non è affatto scontato ma, francamente, alcuni allarmismi (come la paventata uscita dell’Italia dall’euro) sembrano eccessivi.

C’è il rischio che il debito pubblico italiano diventi insostenibile?

La manovra economica del governo si inserisce in un momento particolare, cioè la fine del programma d’acquisto di titoli di stato da parte della Banca Centrale Europea (il quantitative easing) che si concluderà entro quest’anno.

Finora, ciò aveva garantito al nostro paese bassi tassi d’interesse e, dunque, rendeva poco costoso indebitarsi. Se la crescita economica non migliorerà bisognerà necessariamente attuare tagli fiscali per ridurre l’indebitamento.

Negli anni scorsi lo spread è rimasto ai minimi grazie allo scudo offerto dagli acquisti di titoli della Bce, ma potrebbe aumentare di nuovo a livelli elevati se gli investitori percepissero rischi sui conti pubblici.

Tuttavia è bene ricordare che le oscillazioni dello spread sono spesso legate a ragioni speculative, più che a valutazioni sulla sostenibilità di medio-lungo periodo dei conti pubblici.

Che giudizio si è fatto sul superamento della Legge Fornero con quota 100?

La “quota 100”, cioè la somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva come requisito per accedere al pensionamento, è una misura molto costosa, che punta sul fatto che l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro possa compensarne, almeno in parte, i costi immediati.

Anche in tal caso, l’efficacia della misura e la sua sostenibilità sono legate alle prospettive di crescita economica.

Anche se bisogna essere prudenti sui conti, ritengo che le scelte in materia pensionistica debbano considerare anche le ricadute sociali. Cosa che non è avvenuta negli ultimi anni.

Ma ciò dipende dalla visione politica che si ha, cioè dall’idea di società che si intende realizzare. Ne abbiamo avuto prova, in particolare, con le riforme del mercato del lavoro.

Accrescere la flessibilità e ridurre i diritti (e i salari) non è bastato per stimolare la crescita economica e, di conseguenza, l’occupazione. Anzi, è molto probabile che la precarietà del lavoro abbia depresso la crescita.

Eppure le riforme andavano tutte nella direzione indicata dalle istituzioni e dagli economisti che condividono la medesima idea: quella secondo la quale lo smantellamento dello stato sociale, la concorrenza spinta a tutti i livelli e il contenimento dei salari siano indispensabili alla crescita economica.

Una visione liberista che in Europa è diventata l’ideologia dominante, nonostante i suoi evidenti fallimenti.

Flat tax e pace  fiscale?

Da quello che si sa, non si avrà una flat tax (cioè un’aliquota unica) ma più aliquote. L’idea è che pagando aliquote più basse possa aumentare il gettito, ma questa mi sembra una mera ipotesi se non un auspicio.

Le esperienze di altri paesi dimostrano, piuttosto, il contrario. La riforma fiscale e il condono debbono tenere conto del fatto che in Italia l’evasione è molto alta.

L’economia sommersa, secondo le stime ufficiali, è pari al 12,4% del Pil, cioè attorno ai 210 miliardi, ma secondo altre è addirittura superiore. Una riforma fiscale per essere davvero efficace dovrebbe accompagnarsi con misure drastiche di repressione dell’evasione, per portarla ai livelli fisiologici di altri paesi europei. Un tema, questo, di cui tutti i partiti parlano molto poco.

Lo stesso dicasi per il reddito di cittadinanza. Anche in tal caso, bisogna considerare l’incidenza del lavoro sommerso e del fatto che, senza la creazione di nuova occupazione, il reddito di cittadinanza rischia di trasformarsi in una misura assistenziale e non di inserimento lavorativo come, invece, si afferma.

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